Dream City: for the Architecture Exhibition of the Venice Biennale

video statement for the U.S. Pavilion at the 13th International Architecture Exhibition of the Venice Biennale, July 12, 2012


Have you thought about how your dream city would be different from the one that you live in today?

My home is here in Los Angeles, where I have just returned from a small town in Italy. Most of my work today grew out of my years living in various cities there. People like me from around the world flock to Italy to experience the historic centers with cavities called piazzas serving as stages for daily life.

It took us about 20 minutes to fly over my city yesterday, a beautiful summer afternoon. As we got lower and approached the airport I realized I hadn’t seen a single human being on the ground. Endless gridded rows of neighborhoods, homes, streets, cars, shops, lawns, sidewalks (if there were any), but no people. What does that mean?

Today’s American cities have enclosed more space and claimed more land than we really need. Vast unwelcoming lawns, rooftops, parking lots, freeways, interchanges, intersections, and medians, not to mention foreclosed homes, abandoned shopping malls, and unleased speculative office space, create soul-sucking black holes at the most visible moments in our daily lives.

At the same time, our American obsession with a certain sort of productivity, calculated by gross national product, doesn’t even attempt to measure the most essential qualities of life, like the relationships between people, wildlife, plants, air, water, and dirt.

I’ve decided that I’ll be an architect of removal. I’ll find others like me and we’ll work together to artfully, carefully, thoughtfully remove pavement, structures, buildings to create a network of spaces for native habitat corridors across entire urban areas, also serving as small parks within a 5 minutes walk from any dwelling, and productive pleasure gardens where fresh produce is growing, visible and free to all.

I’ll be artist of not doing, by not driving to not buy all of the things that I don’t need, by not removing dead trees where native cavity-dwelling species can move in, by not raking up organic matter and leaf liter, instead left to house organisms before decomposing into more fertile land which will feed me, by not consuming animal products, by not mowing the grasses, instead evolving into pollinator and avian sanctuary meadows, and finally at night when it’s time to go to bed, by not leaving even the faintest glimmer of light anywhere inside or out, promoting a lunar-lit landscape, the way we first found it.

Avete mai pensato a come la vostra città ideale possa differire da quella in cui vivete oggi?

La mia casa é qui a Los Angeles, dove sono appena rientrato dopo un soggiorno in un piccolo paese in Italia. Gran parte del mio lavoro di oggi é il risultato degli anni passati a vivere in diverse città italiane. Persone come me arrivano in Italia da tutto il mondo per ammirare quei centri storici e quelle famose piazze che fungono da palcoscenici della vita quotidiana cittadina.

Ieri ci sono voluti circa 20 minuti per volare sulla mia città in uno splendido pomeriggio estivo. Mentre scendevamo sempre più in basso, ho realizzato che non avevo ancora visto nessun essere umano a terra. Infiniti reticolati di quartieri, intrecci stradali, case, macchine, negozi, cortili, marciapiedi (quando se ne trova qualcuno), ma non persone. Cosa vuol dire tutto ciò?

Le città americane di oggi hanno occupato più spazio e preteso più terra di quanto in realtà fosse necessario. Cortili vasti e inospitali, tetti, parcheggi, autostrade, svincoli, intersezioni e spartitraffico, per non parlare di case pignorate, centri commerciali abbandonati e uffici invenduti. Essi formano nei momenti più visibili della nostra vita quotidiana dei buchi neri risucchia-anime.

Allo stesso tempo quella nostra stessa ossessione americana verso un tipo specifico di produttività, calcolato attraverso il prodotto interno lordo, non prova nemmeno a misurare le qualità più essenziali della vita, come ad esempio le relazioni tra persone e natura, piante, aria, acqua, e terra.

Ho quindi deciso che sarò un architetto dedicato alla rimozione. Troverò altri come me e lavoreremo insieme per rimuovere artisticamente, accuratamente e precisamente marciapiedi, strutture, edifici in modo da creare una serie di spazi per habitat naturali che intercorrono attraverso intere aree urbane, utilizzabili anche come piccoli parchi a 5 minuti di distanza da ogni abitazione, e piacevoli orti urbani aperti e visibili a tutti dove sia possibile crescere prodotti genuini.

Sarò un artista del non-fare; del non guidare per non comprare tutte quelle cose di cui non ho bisogno; del non rimuovere gli alberi morti che possono invece servire come abitazioni naturali per alcune specie; del non spazzare via materia organica e fogliame, ma di permettergli invece di ospitare organismi prima che il processo di decomposizione risulti in una terra più fertile che in seguito mi nutrirà; del non consumare prodotti animali; del non falciare l’erba ma di lasciarla invece evolvere in manti erbosi per impollinatori e uccelli; e infine quando arriva la notte e l’ora di andare a dormire, del non lasciare neanche la più debole fiammella di luce accesa sia dentro che fuori, favorendo così un paesaggio esclusivamente illuminato dalla Luna, come lo trovammo originariamente.

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